A cura di Elisa Bondesan, Junior Consultant
In una cultura come quella attuale, caratterizzata da un aumento del narcisismo e da una riduzione dell’empatia, anche il contesto organizzativo rischia di trasformarsi in un ambiente lavorativo nocivo. All’interno di questi contesti, infatti, le condizioni di stress, sofferenza psicologica e alta competizione possono innestare una reazione a catena di episodi di discriminazione, vessazioni o atti di mobbing.
Oltre a queste forme dirette di violenza che si esprimono in un’aggressione esplicita contro la persona, possono verificarsi episodi di maltrattamento più sottile. Si parla in tal caso di violenza psicologica, un fenomeno difficile da riconoscere e da contrastare perché si manifesta per lo più silenziosamente senza lasciare tracce evidenti. Ciononostante la violenza psicologica è un problema reale, ampiamente diffuso e con conseguenze significative per la salute psicofisica del lavoratore. Questo tipo di violenza colpisce infatti la persona nei suoi aspetti più profondi: la sua personalità, l’immagine che ha di sé stessa, le sue certezze e i suoi rapporti interpersonali sul lavoro e in famiglia.
Soltanto all’inizio dell’ultimo decennio è stata identificata davvero come un fenomeno in grado non solo di rovinare il clima lavorativo e di far diminuire la produttività, ma anche di favorire l’assenteismo, per via dei danni psicologici che comporta. È dunque molto importante che il comportamento violento sia considerato e affrontato senza attenderne l’escalation, riconoscendolo fin dai suoi esordi eclatanti, che non dovrebbero mai essere trascurati o sottovalutati.
Come sostiene l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la violenza psicologica è inoltre un grave problema di salute pubblica, che incide direttamente sul benessere fisico e psichico dei lavoratori e indirettamente sul benessere sociale e culturale di tutta la popolazione.
Nei racconti dei lavoratori vittime di violenza psicologica, vi sono riferimenti a una leadership oppressiva, a minacce e intimidazioni, alla mancanza di rispetto reciproco, di riconoscimento e di fiducia – tutti fattori demoralizzanti e disumanizzanti sul lavoro. In contesti di questo tipo, le persone vanno incontro a depressione, ansia, paranoia e frustrazione; con impatto negativo sulla propria autostima, sulla soddisfazione personale e sul senso di autorealizzazione e gratificazione sul lavoro.
Episodi di violenza psicologica continuano ad esistere anche nelle modalità di lavoro a distanza. Infatti, diverse ricerche dimostrano che alle volte è più facile ricorrere a parole umilianti o denigranti protetti dalla schermo di un computer. Inoltre, le conseguenze economiche e finanziare della pandemia rafforzano in alcuni casi il legame di dipendenza economica di alcuni dipendenti, che sono più restii a controbattere in caso di comportamenti violenti subiti per la paura di perdere il lavoro. L’aspetto più critico sta però nel fatto che il lavoro agile “allontana” le persone tra loro, riducendo il tempo a disposizione per dialogare e far sentire la propria presenza e supporto ai colleghi.
Diseguito alcuni consigli per leggere la propria realtà lavorativa e cogliere in anticipo eventuali segnali:
Ma come affrontare e soprattutto prevenire questa situazione di grande criticità nelle aziende?
Partendo dalla Convenzione dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro, è importante promuovere una cultura inclusiva che valorizzi le differenze tra uomini e donne e aumenti il loro livello di autostima, autoefficacia e leadership, maschile e femminile.
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