a cura di Sarah Noemi Bonomi
La felicità è lo scopo ultimo dell’azione umana, dicevano i greci. Come se in ciascuno di noi ci fosse una vocazione alla felicità da perseguire. Soffriamo, lavoriamo, gioiamo, certamente per tante ragioni, ma, soprattutto perché vorremmo rispondere ad una spinta profonda che ci invita a realizzarci, a fiorire come esseri umani.
Ma la felicità è anche contraddizione e paradosso, come molti studi sulla felicità individuale e collettiva evidenziano.
Il paradosso della felicità” (“Easterlin Paradox”) studiato dall’americano Richard Easterlin (professore di economia dell’Università della California, membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze) ci porta a riflettere sulla questione:
I SOLDI FANNO DAVVERO LA FELICITA’?
La risposta è si e no.
Si fino ad un certo punto come spiega questo grafico..
“All’interno di un singolo Paese, in un dato momento reddito e felicità soggettiva non sono sempre legati, le persone più ricche non sono sempre le più felici “
“Le popolazioni dei Paesi industrializzati sembrano in realtà meno felici e più stressate di quanto ci si aspetta dalle loro condizioni economiche positive”
I soldi possono determinare la felicità delle persone fino a che il reddito garantisce la soddisfazione dei bisogni di base (es. abitazione, alimentazione, vestiario, accesso all’istruzione, ecc.). Una volta appagati tali bisogni, il livello di reddito non impatta in modo così significativo sul senso di felicità.
Addirittura, dagli studi è emerso come se anche il reddito continuasse a crescere, la felicità comincerebbe a diminuire seguendo una curva ad U rovesciata (pensiamo a tutte quei personaggi con fama, reddito e successo ma tristemente note per eccessi, depressione, dipendenze e suicidi)
La vera felicità delle persone dipende quindi molto poco dalle variazioni di reddito e di ricchezza.
TI STARAI CHIEDENDO.. MA PERCHE’?
Prima di passare agli “antidoti” dell’infelicità, bisogna capire perché avviene. Un effetto naturale e umano che ci coinvolge tutti e che riguarda questo fenomeno è l’effetto di adattamento.
L’essere umano per natura si adatta alle situazioni che vive, ciò che inizialmente ci rende felici (come l’auto nuova, il lavoro nuovo, la casa nuova, il primo giorno di vacanza al mare…) diventa molto presto un’abitudine che non riesce più a procurarci la stessa felicità di prima. Diventiamo assuefatti da ciò che abbiamo, in particolare da tutti i beni “materiali”.
Questo fenomeno psicologico di “adattamento” ha uno scopo preciso, quindi non è da considerarsi unicamente negativo. Infatti bilancia anche il nostro “umore : ad esempio, dopo eventi particolarmente brutti o difficili come un cambio indesiderato di lavoro, un piccolo fallimento, una rottura, questo fenomeno ci permette di andare avanti adattandoci comunque alla nuova situazione.
Dall’adattamento deriva la teoria che richiama alla mente il Tapis Roulant della palestra , chiamata ’hedonic treadmill (o set-point theory) .
Vediamo la teoria con un esempio molto semplice: immaginiamoci di avere un reddito basso e di comprare un’ automobile utilitaria. Nel momento dell’acquisto è molto probabile che proviamo un senso di benessere e soddisfazione pari a 5, in una scala che va da 0 minimo a 10 massimo.
Quando il nostro reddito aumenta però, e saliamo di livello sociale/economico, acquistando una nuova auto di maggior prestigio, sentiamo di avere un miglioramento di benessere per qualche mese (poniamo pari a 7), ma poco dopo ci ridarà lo stesso benessere dell’utilitaria (5), perché opera in noi il meccanismo psicologico di adattamento e di “corsa all’obiettivo successivo”. Possiamo fare questo esempio con smartphone, vacanze, abiti o beni materiali di qualsiasi tipo.
È proprio come essere su un “tappeto” da corsa, sempre alla rincorsa del bene materiale che viene subito dopo, convinti che proprio quel nuovo paio di scarpe, quella nuova auto, ci darà quella felicità che cerchiamo.
E poi quando lo raggiungiamo.. questa felicità, è veloce, è breve è fugace.
In questa corsa al bene materiale ne deriva anche una corsa all’aumento del reddito economico. E questo secondo Bruni e Zamagni, per svariati motivi, ma può costituire anche fonte dell’“infelicità” degli individui perché è molto probabile che ad una crescita economica sia associata una dinamica di deterioramento delle relazioni sociali che si auto-alimenta.
Perché?
Qui entra in gioco il Satisfaction tradmill, un altro tappeto rullante della mente umana: nonostante i beni che consumiamo siano migliori per qualità (ristoranti, abiti, vacanze, auto) la valutazione che diamo alla nostra felicità rimane uguale (la nostra felicità soggettiva non varia).
Nel dominio del mondo materiale questi due effetti sono totalizzanti, quindi tutti i comfort materiali vengono assorbiti subito senza lasciare una traccia permanente alla nostra felicità personale.
Quindi no, i soldi da soli non fanno la felicità. Bisogna puntare su altro..
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