A cura di Rosanna Gallo, AD di Eu-tròpia Società Benefit,
psicologa del lavoro, specializzata in benessere organizzativo
La rivoluzione del lavoro nell’era pandemica. Lo shock della pandemia ha prodotto un’accelerazione dei processi di digitalizzazione e ha permesso di lavorare da remoto, pur in condizioni non sempre agevoli. Questo comporta un modo di lavorare diverso: gestire collaboratori a distanza non vuol dire solo assegnare obiettivi e chiedere reportistica, ma fare squadra, fornire strumenti, ascoltare esigenze e motivare, dare e richiedere feedback e supportare lo sviluppo; in sintesi più responsabilità del collaboratore e più deleghe del manager, ma questo comporta maggior dialogo e fiducia. Un altro importante esito dell’era pandemica è il suo grande impatto emotivo, carico soprattutto di paure relative alla salute, ma anche al rischio di perdita del lavoro e di crisi economica. Oggi si aggiungono crisi geopolitiche, energetiche, inflazione e ci sembra di essere “fuori controllo” con impatto pesante sulla salute mentale. Stiamo assistendo a fragilità che sono emerse, soprattutto nella gestione della paura, e che producono vere sofferenze psicologiche.
La fuga dal lavoro. Abbandonare quel tipo di lavoro totalizzante è una risposta adattiva, seppur la fuga sia il primitivo meccanismo di difesa dell’essere umano: ci si difende dallo stress eccessivo, dal timore di non avere altra vita fuori da là, di ammalarsi e “uscire di testa”, così assistiamo a fughe dal lavoro reali, con la great resignation, e virtuali con il quiet quitting, cioè svolgere il proprio lavoro entro il tempo previsto da contratto e senza fare di più di quanto richiesto. Abbiamo osservato una “fuga dal lavoro” nella P.A. e nelle aziende private con richieste di pre-pensionamento dai lavoratori senior (e siamo in grave carenza di personale della scuola e della sanità) e ricerca di luoghi di lavoro meno stressanti e più flessibili, quindi con smart working, per i lavoratori junior. La YOLO Economy (You Only Live Once) non ci salverà, ma ci ha reso più attenti alla qualità della vita, all’ascolto delle nostre esigenze e al desiderio di non rimandare troppo i nostri progetti di vita.
Ma la great resignation è un sogno realizzato per pochi, mentre per gli altri è un sogno svanito: pare che il desiderio di lasciare un luogo di lavoro frustrante sia stato più forte della verifica del nuovo impiego con un buon numero di delusioni; inoltre le dimissioni sono troppo rischiose e non ci si può permettere di non avere fonte di reddito per cui, con maggiore realismo e un po’ di cinismo, si è passati al quite quitting. Tale fenomeno è la risposta allo stress, al burn-out, al technostress, ma è anche la grande delusione/illusione dei giovani e il grande spreco di talenti.
Il quiet quitting è la reazione a fronte del cambiamento epocale avvenuto nel mondo del lavoro: è un atteggiamento che risponde ad ambienti di lavoro che non si sono evoluti; il risultato è che chi mette in atto questo atteggiamento non è stressato, ma nemmeno felice e l’azienda si ritrova con il lavoro eseguito col cervello ma senza cuore, cioè senza la passione che porta a innovare. E dove manca innovazione si muore.
Opportunità e responsabilità dell’HR. Il ruolo HR ha perso potere negli anni e si è sbilanciato sul fronte del business partner a discapito del people partner. È un ruolo che va maggiormente riconosciuto per le competenze diverse di cui è portatore. Nella pandemia abbiamo osservato HR davvero capaci di riprendere in mano il proprio ruolo e potere per influenzare positivamente i colleghi del board sulle necessità ed emergenze della pandemia a cui rispondere. Finita l’emergenza, ora vanno ripensati i programmi di leadership, non solo per i manager, ma per tutti, a cominciare dalla self leadership o governo di sé. Wellbeing e welfare non potranno essere programmi solo di facciata, ma integranti le relazioni fra colleghi e maggiormente strutturati. La sicurezza sul lavoro, intesa come salute fisica, psicologica e relazionale è una priorità non più rimandabile che richiede formazione e azioni preventive a tutela dell’integrità fisica e mentale delle persone per una convivenza collaborativa e felice nei luoghi di lavoro.
Solo il dialogo ci salverà. Creare una cultura del lavoro più umana e attenta alle belle relazioni con tutti gli stakeholder è la nuova sfida dell’HR: coltivare contesti di lavoro inclusivi e valorizzanti, ascoltare i suggerimenti dei lavoratori e ritrovare la passione nel lavoro producendo benessere per tutti. Diventa prioritario anche formare i manager a una gestione, anche a distanza, sullo sviluppo e sulla valorizzazione dei collaboratori e alla delega per favorire responsabilità, fiducia e gioco di squadra.
Articolo online in Mondo Formazione, Harvard Business Review Italia
settembre 2022
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